Qualche settimana fa ho messo nella mia home page la frase “mi ispiro ai principi agili”: ma cosa significa, e per chi, e perché ispirarsi ai principi agili? Provo a fare un’escursione semi-seria, a tratti tragicomica, sullo stato dell’agilità nel 2022.
L’agilità era già qui, solo che non era uniformemente distribuita…
Qualche anno fa, durante un corso di formazione, qualcuno si disse sorpreso nello scoprire quanto fosse lunga la storia di Agile, o meglio di tutti quei principi, pratiche, tecniche, modelli che oggi ricadono sotto il cappello dell’agilità.
“Pensavo che Agile fosse qualcosa di nuovo” mi venne detto. E io, scuotendo la testa: “No, è dall’alba dell’industria informatica che cerchiamo modi migliori di gestire progetti sempre complessi”.
Effettivamente per come e quanto è stato acquisito Agile (sì, “acquisito”, uso il termine deliberatamente, e poi spiegherò perché…) nelle aziende negli ultimi 10 anni, è normale che sia piombato nelle vite di persone più o meno ignare.
Persone del marketing e della comunicazione, responsabili HR, commerciali e designer: tutti travolti da questa ondata più o meno convinta e più o meno coercitiva di “dobbiamo fare Agile”.
E i colleghi “softwaristi”, che magari già da 15 anni provavano a fare capire ai loro colleghi degli altri uffici e dipartimenti, e ai loro rispettivi manager e dirigenti, l’importanza di avere un approccio diverso al condurre i progetti, si prendevano delle porte in faccia.
È la storia infinita dell’IT contro “il business”, e viceversa — Vi svelo un retroscena, questo sconto continua ed è all’ordine del giorno in tutte le organizzazioni anche oggi, incluse quelle che “fanno Agile dal 1832”.
Insomma è sempre colpa di qualcun altro, ma in modo agile.
Abbiamo incrociato i flussi, mai incrociare i flussi (?)
Uno degli aspetti più “buffi” di questa diffusione dell’agilità è il seguente: nato e diffusosi negli ambiti IT, ha spesso incontrato fortissime resistenze da parte del management.
Gli agilisti della prima ora lo sanno: quante volte si riusciva ad essere relativamente agili sulla parte squisitamente tecnica e tecnologica, e quante volte progetti gestiti tutto sommato bene dal punto di vista tecnico si incagliavano a causa di:
- obiettivi poco chiari e non condivisi
- cambi di priorità continui
- troppi progetti portati avanti contemporaneamente
- richieste conflittuali
- coinvolgimento lato tecnico dopo una fase di analisi fatta “a porte chiuse”
- …e questi solo per nominarne alcuni
Tutta colpa “del business” che non coinvolge IT nei modi e nei tempi che IT si aspettava. Per non parlare del proliferare di pianificazioni parallele e non condivise.
In questi ultimi anni, per quello che molte persone che si occupano di software in azienda avranno sicuramente interpretato come uno scherzo del destino, sembra essere proprio “il business” a volere Agile.
Nelle organizzazioni più grandi addirittura a volerlo, con dichiarazioni pubbliche a mezzo stampa, sono proprio i cosidetti C-Level: a volte addirittura sono amministratori e amministratrici delegat* a volere fortemente Agile, molto spesso usandolo addirittura come una leva per trasformazioni organizzative anche importanti — il dibattito sul se sia giusto o meno che Agile venga usato come una sorta di cavallo di Troia organizzativo per quanto mi riguarda è aperto, ma sarà per un’altra volta…
Il più grande spettacolo dopo il Big Bang (?)
Lo ammetto, nonostante abbia sul groppone quasi 17 anni di esperienza lavorativa sono abbastanza nuovo al mondo della consulenza e non ho una grande memoria storica riguardo le strategie e tattiche della grandi società di consulenza, ma mi sento di dire questo: hanno “annusato l’affare” su Agile e sono state bravissime a impacchettare e vendere Agile come “The Next Big Thing”.
E sottolineo: le grandi società di consulenza sono state bravissime a vendere Agile ai e alle CEO di tutto il mondo. Ricordate quando poco fa dicevo che le aziende hanno “acquisito” Agile: ecco, in molti casi, dopo averlo comprato, hanno provato anche ad “installarlo”.
Fedele al principio di non sputare nel piatto in cui mangio, sarebbe ipocrita non ammettere che se non ci fosse stato questo grado di esposizione diretta e indiretta garantito dalle Big Four della consulenza, io non avrei avuto la fortuna di fare questo mestiere al livello a cui l’ho fatto in questi ultimi anni.
Essere entrato nel mondo della consulenza, seppure in una dimensione artigianale e fortemente auto-organizzata, nel momento del “tutti pazzi per Agile” mi ha garantito un posto in prima fila nell’osservare tutte le storture possibili e immaginabili di quando, a qualcosa di estremamente complesso come l’organizzazione del lavoro in azienda, viene applicato un sistema fortemente viziato dalle peggiori dinamiche consulenziali.
A volte mi sembra che non ci sia alternativa tra il seguire facili opportunità come “installatore di agilità” e il lavorare seguendone davvero i principi, rischiando di essere ignorato da tutti.
Da qui la domanda: che significa “ispirarsi ai principi agili” nel 2022?
Fare agile, essere agile, dire, fare, baciare, lettera, testamento
Agile e i professionisti che a vario titolo si ispirano a quei valori e principi, sottoscritto incluso, stanno vivendo un momento di crisi esistenziale — che se ne stiano accorgendo o meno poco importa.
Si ripetono a pappagallo dei mantra come: “non si fa agile, si è agili”, oppure “si parte dal mindset”, oppure “start with why”. Insomma tutte cose che diventano un meme triste e trito nel momento stesso in cui vengono dette per più di due volte.
Attenzione a cosa potreste evocare dicendole tre volte consecutive.
Di crisi di rigetto dell’agilità se ne sono avute già diverse: adesso siamo già alla terza o quarta ondata di agilità. Abbiamo persone che hanno sperimentato il bello, il brutto, il buono e il cattivo di “trasformazioni agili” in tre o quattro aziende diverse.
A volte ho l’impressione che persone e organizzazioni abbiano anche sviluppato una sorta di immunità al cambiamento, soprattutto se introdotto dall’esterno tramite consulenza: sempre più spesso mi chiedo come posso riuscire io come consulente dove evidentemente hanno fallito tanti altri, spesso più competenti di me?
Perché, salvo rarissime occasioni, tutti, ma proprio tutti in questi ultimi anni hanno avuto a che fare, in maniera più o meno distorta, con qualche forma di lavoro ispirato ai principi dell’agilità: è impossibile trovare qualcuno che non sappia cos’è Agile, cos’è uno sprint, cos’è un backlog, cos’è Scrum, cos’è Kanban.
Allo stesso modo ormai è quasi impossibile non sentirsi dire frasi come: “vorremmo cambiare, ma niente Agile per favore” oppure “è interessante quello che fai, ma vorrei che funzionasse anche quando non ci sei”.
Queste sono cicatrici che si possono osservare in aziende piccole, medie e grandi, perché, come dicevo sopra, ad oggi nessuna organizzazione è rimasta inviolata da Agile e molto spesso le esperienze non sono state necessariamente positive.
Quindi: che significa ispirarsi ai principi agili nel 2022?
Quando faccio corsi di formazione di introduzione all’agilità faccio riflettere le persone sui valori e principi agili, facendo domande come:
- quanto sono importanti per voi, individualmente?
- quanto vengono applicati in azienda?
- cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
Da questo esercizio parte un quadro iniziale avulso da giudizio: “siamo così, e questo è il primo piccolissimo passo che dovremmo fare per migliorare, a partire da domani”.
Non ci sono bacchette o pozioni magiche e per quanto il mercato di venditori di bacchette e pozioni magiche sia sempre florido, il pensiero magico non è un principio che ispira il mio lavoro.
Non c’è pensiero magico nei principi agili, ci sono cose come:
“Fondiamo i progetti su individui motivati. Diamo loro l’ambiente e il supporto di cui hanno bisogno e confidiamo nella loro capacità di portare il lavoro a termine.”
oppure:
“Le architetture, i requisiti e la progettazione migliori emergono da team che si auto-organizzano.”
Chiedete ad un team “Cosa vi impedisce di auto-organizzarvi?”: uscirà una lista di problematiche da risolvere e possibili miglioramenti che vi terrà impegnati per i prossimi 15 anni.
Volete aprire per caso il capitolo “motivazione”? Avrete lavoro organizzativo da fare per una vita intera.
E invece abbiamo ridotto e banalizzato Agile ad un processo da installare, dimenticare e poi rinnegare nel giro di uno o due trimestri.
Come consulenti, facilitatori, coach siamo talmente abituati a fare riflettere i nostri clienti che spesso dimentichiamo che pure noi, come professionisti, dovremmo fermarci a riflettere su come lavoriamo (dodicesimo principio del Manifesto Agile, per altro).
Anche io ho i miei momenti “mi son stufato di parlare di Agile”, regolarmente.
Ma poi mi fermo a riflettere, e la mia frustrazione non ha a che vedere con Agile in termini di valori e principi, ma di tutto il circo a quattro piste che si è generato attorno.
Alcuni aspetti di questo circo sono stati benefici: mi hanno permesso di iniziare una nuova carriera, hanno permesso a tante altre persone di perseguire percorsi professionali come coach, Scrum Master o Product Owner, hanno messo tante aziende nella condizione di affrontare problemi organizzativi sepolti da decenni.
Ci sono anche tutti gli aspetti tossici che ho descritto in precedenza: ormai confido completamente nella altrui capacità di distinguere cosa può fare bene o male in una organizzazione.
Se pensi che Agile ti abbia fatto del male, benissimo (si fa per dire…), non mi offendo, partiamo da lì.
È per questo che credo che ispirarsi ai principi agili sia ancora importante nel 2022: sono un appiglio per avere una conversazione anche e soprattutto riguardo a cosa e quanto non ha funzionato finora, Agile incluso.
Cosa significa “lavorare bene” nella tua azienda lo sai solo tu che ci lavori: io posso solo aiutarti a trovare la via per arrivarci e continuare a migliorare.
Immagine di testata: Rift — Lauren Fisher
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