Soldi ed emozioni

Da quando nel 2017 ho abbandonato la vita da lavoratore impiegato stabilmente in singola una azienda, aprendo partita IVA e diventando consulente ho dovuto crearmi e cambiare continuamente aspettative circa i miei obiettivi professionali ed economici.

Creare e cambiare queste aspettative professionali ed economiche è, come capita spesso nel momento in cui lasci le certezze che lavorare stabilmente in una azienda ti dona, una sorta di lavoro-nel-lavoro.

A volte diventa proprio un-lavoro-nel-lavoro-nel-lavoro-nel-lavoro, con una profondità frattale tale per cui a volte il tuo “vero lavoro”, quello per cui ti vengono pagate le fatture, per intenderci, sembra giusto una minuscola punta dell’iceberg fatto di una volume enorme e invisibile di “altro” (il laconico “non fatturabile”).

È da parecchio tempo che volevo parlare di soldi, oltre alla mera questione finanziaria: ispirato da questo articolo di Anna Codrea-Rado, ho elaborato qualche pensiero al riguardo.

Userò lo stesso “template” di Anna Codrea-Rado per ripercorrere le sequenze emotive che sono intimamente legate al dover pensare ai soldi quando sei un* liber* professionist* e fai, comunque, anche e soprattutto un lavoro che ti piace.

Non numeri o finanza personale (ci sarà qualche percentuale, giusto per dare un senso relativo a quello che scriverò) ma del peso emotivo di dover continuamente pensare ai soldi quando non hai uno stipendio fisso a fine mese.

Colpa

Quest’anno ho guadagnato, in termini di fatturato, il 20% in meno rispetto l’anno scorso.

Strano, bizzarro: è facile pensare che per un libero professionista il 2020 sia stato più difficile rispetto il 2021.

Mi ha fatto sentire in colpa quando nel 2020 mi stava andando bene quando a tutto il resto del mondo andava a rotoli.

Mi ha fatto sentire in colpa quando nel 2021 spesso le persone mi chiedevano consigli professionali immaginando che io ne sapessi più di loro.

Mi ha fatto sentire in colpa quando le persone davano palesemente per scontato che “figurati se Davide sta attraversando qualche difficoltà” e non ho detto nulla.

Generalmente le persone diventano sempre meno trasparenti riguardo ai propri guadagni mano a mano che questi aumentano.

A me, per qualche motivo, succede il contrario: ho tenuto nascosto questa flessione negativa e soprattutto come mi faceva sentire, perché mi sentivo in colpa.

Negazione

Una delle grandi certezze della libera professione è che non ci sono certezze.
Ci sono anni di vacche grasse e anni di vacche magre.
Anni di raccolto e anni di semina.

Nonostante lo sappia (ho iniziato questa avventura nel 2017, non è la prima e non sarà l’ultima volta che i miei guadagni non saranno stabili), ho passato buona parte di quest’anno con la testa ficcata dentro fogli di calcolo, a scrutare formule e percentuali e sperare che mi rispondessero alla domanda “Cosa sta succedendo quest’anno?”.

Sicuramente soffro di scarsa differenziazione delle mie attività, sicuramente non ho fonti di reddito passivo, sicuramente non offro servizi sufficientemente “impacchettati”, “digeribili, standardizzabili.

Per buona parte di quest’anno ho studiato e sezionato tutta la teoria e pratica relativa alla gestione strategica della libera professione in ambito consulenziale, mentre annegavo in un mare di inadeguatezza.

Nel 2020 ho “diversificato accidentalmente” e, nonostante risultati contrastanti, ero convinto di poter replicare nel 2021.

Non ci sono riuscito.

Con tantissima fatica ho poi capito uno dei motivi principali perché quest’anno è stato peggiore dell’anno scorso: perché l’anno scorso sono andato in panico e ho compensato prendendomi in carico più di quello che potevo digerire — con burnout annesso.

Il mio fatturato 2020 è stato uguale al fatturato del 2019, ma il costo che ho pagato a livello di salute mentale è stato altissimo.

Il che ci porta alle prossime due emozioni.

Rabbia e frustrazione

Per usare una terminologia tecnologica, la consulenza “non scala”.

Non si può guadagnare di più lavorando di più.
Ci sono dei rendimenti decrescenti con cui fare i conti.
La coperta è molto corta.

Se aumenta il volume del lavoro, salvo rare eccezioni, deve necessariamente diminuire la qualità, del tuo lavoro e della tua vita.

“Poche cose, fatte bene” è sempre stato il mio motto, ma quest’anno ho vissuto questo mio principio come un potenziale chiodo sulla mia tomba professionale.

Quindi, dopo senso di colpa e negazione, ecco arrivare la rabbia e la frustrazione che emergono quando ti accorgi che hai pochi strumenti per sterzare l’andamento dell’anno in corso, in tempo reale.

Ti rendi conto di aver corso la maratona al ritmo di uno sprint, di avere i crampi e che ci sono ancora diverse maratone da correre.

E vai in loop: rabbia e frustrazione per la “coperta corta”, senso di colpa per non raggiungere obiettivi che hai sempre raggiunto, condito da un po’ di negazione, che da un certo punto di vista resta l’unica emozione che a volte ti fa andare avanti se il tuo capo è la persona che vedi riflessa nello specchio.

Ti assicuro che un anno diventa molto, molto lungo quando già dal primo trimestre quando sai che non sta andando come dovrebbe.

Ottimismo e orgoglio

A volte la negazione può assomigliare tantissimo all’ottimismo, e viceversa: occorre un po’ di esperienza per riuscire a non confondere le due.

L’ottimismo di cui parlo è (anche) quello dei numeri di fine anno.

Vero, c’è un -20% di fatturato.
Ma il cash flow è sano.
Ho risparmi stabilmente tra un 40 e 60% del totale dei miei guadagni annui.
Ho un portfolio di investimento che mi frutta stabilmente un +10%.
Sto per trasferirmi in un appartamento in cui pagherò un affitto 20% più basso dell’attuale.

E, tutto sommato, dubito che il 2022 possa essere peggio del 2021.

C’è anche orgoglio, alla fine di quest’anno: nonostante tutti i limiti strutturali del modo in cui faccio consulenza, nonostante il -20%, sono arrivato alla fine in piedi e pronto a ripartire con nuovi strumenti nel mio bagaglio.

Non solo: ho riflettuto su questi ultimi anni e mi sono reso conto di aver preso una serie di decisioni molto difficili e a volte contro-intuitive che mi hanno preparato alla pandemia senza che lo sapessi.

Sono decisioni economiche e di vita che mi sono costate parecchio quando le ho prese e sostenute nel passato, decisioni di cui più di una volta mi sono pentito fino a che non si sono dimostrate utili nel momento del maggiore bisogno.

Tristezza

C’è comunque una pandemia. L’allarme non è rientrato. Ce ne saranno delle altre. Ci sono e saranno difficoltà difficilmente sormontabili per tutti noi.

Diversi aspetti di come lavoro dovranno cambiare nel 2021.

E so che dovrò investire e che significa perdere o dire di “no” ad occasioni “facili” per perseguire quelle “difficili”.

Se non ci saranno fattori esterni a complicarmi la vita, so che dovrò continuare a complicarmela da solo, per il mio bene.

Ci saranno cose che non andranno bene, non capirò perché e ci perderò il sonno.
Non andrà tutto bene (controcit.).

Gioia

Il 2021 è stato un anno di semina.
È la prima volta in vita mia che dico una cosa del genere.

È la prima volta in vita mia in cui riesco — con grossa fatica, come avete capito se siete arrivat* a leggere fino a qui — a considerare i successi di una anno in perdita del 20%.

Mi sono lanciato in una serie di attività che non mi hanno portato un centesimo, e che potrebbero non portarmene nemmeno in futuro, ma che hanno bilanciato con energie ed emozioni positive tutte le piccole e grandi cose che non sono andate per il verso giusto nel 2021. E non solo, ma hanno preparato dei “ponti” verso il 2022.

Accettazione

Il senso di colpa che deriva dal non poter dimostrare a se stessi, con risultati economici, di essere un* brav* professionista è una brutta bestia.

La strada per rendere tutto questo più sostenibile non passa solo per l’essere brav* con i numeri, i soldi, i business plan e la strategia, ma anche e soprattutto per l’essere brav* a riconoscere come ci si sente al riguardo.

“Quando sei felice, facci caso” dice quella, forse trita e melensa, massima. Il mio consiglio, in particolare, sarebbe: “Quando provi qualcosa (rabbia? frustrazione? orgoglio? senso di colpa?) riguardo la tua situazione economica, facci caso, non tutto è risolvibile con una macro di Excel”.

“Money is only one of many key metrics. It’s ok to strive for growth, but sometimes that growth is developmental rather than financial. I’ve come to accept that my metrics are messy – they don’t tell a complete story. And it’s so important to share the feelings as well as the figures.” — Anna Codrea-Rado, The Money Issue